Spiagge vuote, Federbalneari: “E’ un nuovo modello di vacanza”

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Photo by Efrem Efre

Calo dei flussi dal lunedì al venerdì anche con tariffe contenute, mentre nei fine settimana le spiagge tornano piene. Dal 2012 al 2025 l’aumento medio delle tariffe balneari è stato del 20% complessivo, ovvero in media il 2% annuo a fronte di costi di gestione triplicati in dieci anni.

Le immagini di stabilimenti balneari semi-deserti nei giorni feriali non raccontano un crollo del turismo, ma piuttosto una trasformazione del modello di vacanza che da oltre trent’anni caratterizza il litorale italiano: flussi concentrati nei fine settimana e nei festivi e una forte polarizzazione tra turismo organizzato e turismo domestico. Le presenze dal lunedì al venerdì si riducono drasticamente anche in località con tariffe medio-basse mentre nei weekend il quadro si ribalta: le spiagge tornano a lavorare a pieno regime, spinte sia dal turismo locale sia dai soggiorni brevi. Un fenomeno radicato, rafforzato negli ultimi anni da nuove abitudini di consumo e da sempre nuove esigenze della filiera dei turismi integrate da esigenze lavorative sempre più pressanti.

«Innanzitutto, dalle interviste ai vari consumatori o avventori in spiaggia assistiamo a una crescente ricerca di forme alternative di vacanza – spiega Marco Maurelli, presidente di Federbalneari Italia –. Molte persone scelgono la montagna, i laghi, le città d’arte o l’estero: nel 2024, ad esempio, il 10,8% degli italiani ha optato per la montagna e quasi il 3% per i laghi. Il mare resta la meta preferita, ma oggi viene vissuto in modo più flessibile e frammentato. Allo stesso tempo, le vacanze lunghe di un mese o più non sono più la norma: ci si muove per periodi brevi o molto brevi, concentrandosi su uno o due weekend al massimo o scegliendo una settimana “mordi e fuggi”. Non è un caso se gli stabilimenti tornano pieni nei fine settimana, da maggio a
settembre inoltrato». Anche sul fronte economico il quadro è complesso. Dal 2012 al 2025 le tariffe di noleggio balneare sono
cresciute mediamente del 20%, pari a circa meno del 2% medio annuo: un incremento contenuto se rapportato all’inflazione post-Covid, che tra il 2021 e il 2023 ha oscillato tra l’1,9% e l’8,1%, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie con le retribuzioni in media inferiori di oltre il 12%. Nello stesso periodo, il costo del lavoro dipendente stagionale è quasi triplicato, arrivando a 110 euro giornalieri per lavoratore.

«L’aumento delle tariffe è stato molto inferiore alla crescita dei costi di gestione – aggiunge Maurelli –. Molti imprenditori hanno provato negli anni e tuttora lo fanno, a non scaricare integralmente gli incrementi sul cliente consumatore finale, anche per preservare la competitività del settore». Alla sfida interna si somma quella internazionale: in destinazioni come il Montenegro o Corfù l’IVA sul turismo è al 5%, condizione che in teoria permetterebbe di mantenere prezzi più bassi. Tuttavia, il confronto reale dimostra che l’Italia resta competitiva: una settimana di ospitalità in Grecia o Croazia costa in media 600
euro a persona, mentre per le stesse condizioni in Italia – che può offrire sia città d’arte che località balneari – la spesa media è di circa 500 euro a persona.

L’Italia, sottolinea Federbalneari Italia, continua a garantire un’offerta di qualità elevatissima, ma serve un confronto strutturale sul piano fiscale per sostenere il settore nel medio e lungo periodo. I dati complessivi del turismo estivo, comunque, restano solidi: oltre 36 milioni di italiani in viaggio e una spesa che supera i 41 miliardi di euro, a conferma che il mare continua a essere protagonista di un modello di vacanza in evoluzione.

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