Esiste una disparità evidente tra i paesi europei nel trattamento delle concessioni demaniali, in particolare confrontando Italia, Spagna e Portogallo. Mentre Italia è oggetto di continue richieste e procedure da parte della Commissione europea, Spagna e Portogallo possono contare su sistemi legislativi e interpretazioni giurisprudenziali che hanno reso possibili proroghe lunghissime, anche fino a 75 anni, suscitando interrogativi sulla coerenza dei criteri applicati da Bruxelles.
Spagna: proroghe fino a 75 anni approvate dal Tribunal Supremo
Il Tribunal Supremo spagnolo con la sentenza n. 3705/2025 ha confermato la possibilità di prorogare le concessioni storiche sul demanio marittimo-terrestre pre-1988 fino a un massimo di 75 anni, senza l’obbligo di dimostrare l’impossibilità di ubicare quell’attività altrove, condizionando la proroga solo al parere favorevole in materia ambientale della Comunità Autonoma. Questa dottrina si applica anche alle concessioni balneari, rafforzando la tutela dei titolari storici in netto contrasto con una lettura più restrittiva della direttiva Bolkestein.
Nonostante ciò, la Commissione europea ha inviato un parere motivato alla Spagna, contestando il mancato rispetto della direttiva servizi e la durata eccessiva delle concessioni, ma, al momento attuale, Madrid non ha ancora adeguato la normativa né risposto ufficialmente al parere motivato, spingendo Bruxelles solo a riaffermare la sua posizione, senza però inasprire concretamente l’azione come nel caso Italia.
Portogallo: proroghe e transizione senza effetti retroattivi
Il Portogallo, per sanare la procedura di infrazione europea, ha eliminato il diritto di preferenza nei bandi post-2023 (favorendo così gare regolari), ma ha salvaguardato la validità delle concessioni e delle proroghe già rilasciate secondo le vecchie regole. Nessuna misura retroattiva è stata introdotta e i titolari storici mantengono le proprie concessioni fino alla scadenza naturale — che, nei casi più favorevoli, può arrivare anch’essa a 75 anni. Il nuovo regime si applica solo dal rinnovo successivo e nei futuri bandi, evitando la decadenza collettiva e la cancellazione immediata delle concessioni storiche.
Situazione molto diversa in Italia, dove le concessioni balneari sono sottoposte a un monitoraggio rigido da parte della Commissione europea. Le sentenze del Consiglio di Stato hanno imposto la scadenza collettiva al 31 dicembre 2023 (ora 2024 per ragioni amministrative), non riconoscendo alcuna continuità ai titolari storici. Ogni tentativo di proroga viene puntualmente contestato da Bruxelles, che ha inviato all’Italia continue lettere di diffida, pareri motivati e minacce di deferimento alla Corte di Giustizia UE. La richiesta è sempre la stessa: gare pubbliche e apertura totale alla concorrenza senza considerare la tutela dei gestori storici.
La risposta sta nel diverso livello di pressione politica e giuridica che la Commissione applica ai singoli Stati — e nella reattività dei rispettivi governi. Mentre Spagna e Portogallo hanno adottato soluzioni che di fatto “congelano” le situazioni storiche, l’Italia viene sottoposta a una sorveglianza stringente: ogni proroga viene associata ad automatismi contrari alla direttiva, le lettere dei funzionari di Bruxelles sono frequenti e la minaccia di nuove procedure d’infrazione è costante.
Nel caso spagnolo, la Commissione ha sì inviato un parere motivato, ma per ora il governo non ha risposto nel merito e le proroghe continuano a essere riconosciute. In Italia, invece, la procedura è già arrivata a fasi in cui si minaccia l’avvio di contenzioso davanti alla Corte di Giustizia UE, e ogni misura nazionale viene bocciata in tempi brevissimi.
Va ricordato che la Croazia, dopo un periodo di transizione al momento dell’ingresso nell’UE, ha avviato una riforma del sistema concessorio solo dal 2021, ma anch’essa protegge in via transitoria molte concessioni storiche, allungando le tempistiche di adeguamento rispetto alle richieste di Bruxelles.
La disparità di trattamento evidenzia la mancanza di un’applicazione uniforme della Direttiva Servizi in Europa e giustifica molte delle rimostranze del settore balneare italiano che si sente oggettivamente svantaggiato rispetto ai principali competitor turistici.