di Vincenzo De Michele
La tutela stabile delle imprese balneari e il ruolo del Presidente della Repubblica
- Anche in questo 2 giugno 2025 si è celebrata la ricorrenza della istituzione della Repubblica italiana fondata sul lavoro, nata dal referendum e dalla Costituzione del 1948.
- In questi tempi di guerra “da remoto” con genocidio e stragi di bambini e di civili resi mediaticamente indifferenti ai cittadini e di ingerenza spesso ossessiva delle Istituzioni comunitarie negli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione, è necessario chiedersi se è ancora possibile discutere di sovranità nazionale e, appunto, di Repubblica democratica italiana fondata sul lavoro.
- La risposta del giurista, dopo alcuni accadimenti extra ordinem di questi giorni, non può che essere positiva, e cioè che i famosi principi fondamentali costituzionali europei incarnati geneticamente nella nostra Carta fondamentale hanno ancora una vitalità tale da trovare immediata precettività a tutela dei diritti dei lavoratori e delle imprese e che il Presidente della Repubblica, garante della Costituzione e dell’unità del Paese, è in grado di sostenerne la vitalità superando ostacoli politici ed economico-finanziari che parevano invalicabili.
- Faccio riferimento alle note vicende della tutela dei diritti dei concessionari balneari e della magistratura onoraria, su cui le Istituzioni dell’Unione (Commissione, Parlamento, Corte di giustizia) sono intervenuti con esiti interpretativi e di efficacia del diritto Ue applicato, di matrice giurisprudenziale sulla base di un non chiarissimo e comunque generale quadro normativo delle direttive comunitarie pertinenti, a volte contraddittori e molto incerti.
- Il 27 marzo 2013 il Presidente della Repubblica svolgeva il ruolo di Giudice della Corte costituzionale ed era Relatore nelle cause sul precariato pubblico scolastico che si discutevano quel giorno in udienza pubblica, trovandosi di fronte l’avvocatura dei precari scolastici che sollecitava la stabilizzazione dei rapporti di lavoro alla luce della sentenza Valenza della Corte di giustizia Ue sugli ex raccomandati delle Autorità indipendenti (v. infra) e il (primo) rinvio pregiudiziale della complessa questione sul precariato pubblico alla Corte comunitaria, sulla scia delle questioni pregiudiziali già sottoposte dal Giudice del lavoro di Napoli, un grande Giudice europeo ancora oggi alla ricerca del dialogo paritario con la Corte Ue.
- Il 27.3.2013 il Presidente della Repubblica raccolse le sollecitazioni dell’avvocatura dei precari pubblici e convinse la sua Corte costituzionale del Presidente prof. Franco Gallo al primo rinvio pregiudiziale Ue in sede incidentale del Giudice delle leggi con l’ordinanza n.207 del 3 luglio 2013, cambiando la storia dei rapporti tra Corte di giustizia e Corte costituzionale italiana, che diventerà la più autorevole sostenitrice del dialogo anche critico, come nel caso “Taricco”, con la Corte comunitaria, dopo la scelta sovranista dei controlimiti interni della Corte federale costituzionale tedesca di Karlsruhe, che rappresentò l’inizio della crisi politica ed economica della Germania nell’era covid.
- La Corte di giustizia con la sentenza Mascolo del 26 novembre 2014 nelle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13 sui precari della scuola pubblica suggellerà il patto di collaborazione con la Corte costituzionale, non sempre sostenuto dalle alte Corti superiori nazionali, Cassazione e Consiglio di Stato.
- Infatti, soltanto domenica 11 maggio 2025 con l’ordinanza n.12488/2025 la Suprema Corte di Cassazione – Sezione lavoro, modificando il proprio costante orientamento negativo (cfr. per tutte Cassazione, sentenza n.10080/2023), ha applicato per la prima volta la sentenza UX della Corte di giustizia del 16 luglio 2020 nella causa C-658/18, riconoscendo ai magistrati onorari la tutela piena giurisprudenziale dei diritti di lavoratore (subordinato) europeo equiparato ai magistrati professionali, dopo che il legislatore ha operato, con la legge 14 aprile 2025 n.51, una prima modifica normativa per inserire strutturalmente, oltre che funzionalmente, i magistrati onorari del ruolo ad esaurimento assunti prima del 16 agosto 2017, con decorrenza dal 1° maggio 2025, nell’ambito dell’ordinamento giudiziario come giudici pleno iure.
- Qualche mese prima della svolta della Cassazione sulla magistratura onoraria, l’art.1 del d.l. 16 settembre 2024 n.131, che prevede la proroga fino al 30.9.2027 della durata delle concessioni balneari, è stato convertito con poche modificazioni dalla legge n.166/2024, senza che il Presidente della Repubblica intervenisse ad impedire il lavoro parlamentare di conversione del decreto d’urgenza concertato con la Commissione Ue, accogliendo l’appello dello scrivente rispetto alle diverse sollecitazioni che provenivano dal mondo accademico di applicare una volta per tutte, distruggendo il ruolo del legislatore e del Governo, le sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che imponevano la cessazione della durata di tutte le concessioni balneari iussu iudicis al 31.12.2023.
- Tutte e due le vicende, quella dei balneari e quella della magistratura onoraria, portano il timbro e l’avallo del Presidente della Repubblica, l’unica figura istituzionale anche di giurista europeo che potesse interfacciarsi autorevolmente con la Commissione europea per trovare le soluzioni di tutela più efficaci delle due categorie di piccolissime imprese e di magistrati precari, nonostante l’elevato impatto finanziario in negativo per i comitati di affari che intendevano entrare nell’affare a costo zero delle gare per i balneari e in positivo per il pagamento degli arretrati retributivi e contributivi in favore dei magistrati onorari a carico delle finanze dello Stato, che potrà però sopportare gli imprevisti esborsi miliardari attingendo risorse dal PNRR.
- Il Presidente della Repubblica e la Cassazione hanno dunque imposto anche alle Istituzioni europee quel ruolo “ascendente” dei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale di tutela effettiva dei diritti, che la strana Unione europea dell’economia sociale di mercato non è in grado più di assicurare.
La pregiudiziale Ue del Giudice di pace di Rimini e il Consiglio di Stato
- Non è un caso, allora, se il Consiglio di Stato – VII Sezione con la sentenza del 9 maggio 2025 n.4014 ha per la prima volta preso in considerazione la pendenza della domanda pregiudiziale proposta dal Giudice di pace di Rimini con l’ordinanza del 26 giugno 2024 in causa C-464/24 Balneari Rimini sulla complessa questione della durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
- Nel giudizio definito dalla sentenza n.4014/2025 del Consiglio di Stato la società appellante è concessionario balneare ininterrottamente da 27 anni, in quanto titolare di concessione demaniale marittima ad uso turistico-ricreativo del Comune di Sanremo, originariamente rilasciata con atto della Capitaneria di Porto reg. conc. n. 232/1998, ampliata con atto della Capitaneria n. 5/2000 e con licenza suppletiva del Comune di Sanremo n. 1/2003, nonché beneficiaria di plurime proroghe ex lege, rientrando quindi nell’ambito di operatività dell’art.44 della direttiva 2006/123CE, che esclude le concessioni balneari iniziate prima del 28.12.2009 dal campo di applicazione della direttiva Bolkestein.
- Il concessionario balneare di Sanremo dal 1998 fino al 30 dicembre 2009 aveva riconosciuto dall’ordinamento nazionale il c.d. diritto di insistenza, previsto dall’art.37 comma 2 cod.nav. (“Concorso di più domande di concessione”), che così disponeva dal 5.12.1993 dopo la modifica introdotta dall’art.02 comma 1 della legge n.494/1993: «Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico- ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze».
- Il diritto di insistenza del concessionario balneare uscente al momento della scadenza del titolo concessorio previsto dall’art.37 comma 2 secondo periodo cod.nav. è stato abrogato a seguito dell’art.1 comma 18 del d.l. 30.12.2009 n.194, convertito con modificazioni dalla legge n.25/2010.
- In realtà, però, il concessionario balneare di Sanremo appellante nel giudizio deciso dal Consiglio di Stato con la sentenza n.4014/2025 godeva, al momento dell’abrogazione del diritto di insistenza, di una “protezione” molto più efficace del suo diritto al godimento del bene demaniale, cioè il rinnovo automatico del titolo concessorio di sei anni in sei anni a tempo indeterminato, secondo quanto previsto dall’art.01 comma 2 del d.l. n.400/1993 (convertito con modificazioni dalla legge n.494/1993), così modificato con decorrenza dal 18.4.2001 dall’art.10 comma 1 della legge n.88/2001: «2. Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione».
- La norma di cui all’art.01 comma 2 d.l. n.400/1993 sulla durata indeterminata del titolo concessorio dell’imprenditore balneare di Sanremo è stata abrogata dall’art.11 comma 1 lettera a) della legge n.217/2011, con decorrenza dal 17 gennaio 2012.
La precarizzazione contra legem delle imprese balneari con la scusa dell’Europa
- L’abrogazione sia del diritto di insistenza dei concessionari demaniali marittimi per attività turistico-ricreative uscenti (cioè alla scadenza del titolo concessorio) sia della durata indeterminata delle concessioni balneari è stata sollecitata dall’Autorità garante della concorrenza del mercato (AGCM) con la segnalazione del 20 ottobre 2008, sull’inaudito presupposto che nel settore delle imprese balneari dovessero essere introdotti elementi di concorrenza nell’espletamento delle gare non previste, che invece erano impediti dall’art.37 comma 2 cod.nav. e dall’art.01 comma 2 d.l. n.400/1993.
- Scrive l’AGCM nella comunicazione del 20.11.2008, prendendo a pretesto la normativa della Regione Friuli-Venezia Giulia: «Tali previsioni normative appaiono suscettibili di produrre effetti restrittivi della concorrenza, tenuto conto che né il codice della navigazione né il relativo regolamento di attuazione prevedono come principio generale, per l’assegnazione di concessioni marittime1, quello dell’utilizzo di procedure concorsuali trasparenti, competitive e debitamente pubblicizzate né, infine, quello della ragionevole durata delle concessioni demaniali. Per quanto attiene a tali previsioni normative e, in particolare, al c.d. diritto di insistenza di cui all’art. 37, comma 2, c.n., l’Autorità, infatti, ritiene che procedure di rinnovo o di rilascio della concessione basate sul criterio della preferenza accordata al precedente titolare della medesima dovrebbero essere sostituite dalla valutazione dell’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal concessionario e dagli altri aspiranti sul piano della rispondenza agli interessi pubblici; dall’idonea pubblicizzazione di tale procedura, in modo da riconoscere alle imprese interessate le stesse opportunità concorrenziali, in contrapposizione al titolare della concessione scaduta o in scadenza; dall’eliminazione di tutti quegli elementi che possano comunque avvantaggiare a priori il precedente concessionario indipendentemente dal contesto concorsuale.».
- Secondo l’AGCM dovrebbero trovare applicazione i principi comunitari di parità di trattamento, eguaglianza, non discriminazione, adeguata pubblicità e trasparenza dovrebbero essere applicati al settore «in forza della sostanziale equiparazione che il Consiglio di Stato opera tra le concessioni di servizi e quelle di beni, poiché “con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione”, richiamando le sentenze del Consiglio di Stato n.1968/2004 e n. 2825/2007.
- La scelta “aggressiva” della AGCM di applicare alle concessioni balneari i principi della concorrenza del tutto estranei al settore era legata esclusivamente alla opzione del Governo Prodi di introdurre con l’art.1 commi 253 della legge finanziaria n.296/2006, con decorrenza dal 1° gennaio 2007, l’art.03 comma 4-bis del d.l. n.400/1993, per mascherare, dietro il paravento della messa a gara delle concessioni balneari secondo i principi di libera concorrenza inapplicabili al settore, l’operazione della convenzione unica con ASPI per la gestione di lunghissima durata della gran parte delle concessioni autostradali italiane, in affidamento diretto “privilegiato” e riservato e senza appalto pubblico.
- L’art. 03 comma 4-bis del d.l. n.400/1993 ha neutralizzato, da un lato – con un termine di durata minima di cinque anni e massima di venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni -, la proroga automatica e illimitata di cui all’art.01 comma 2 dello stesso decreto legge, stricto iure applicabile solo alle nuove concessioni dopo l’entrata in vigore della norma e, dall’altro, ha inserito, nella regolamentazione del settore del turismo balneare, principi di libertà di concorrenza attraverso gare pubbliche incompatibili con l’esclusione delle imprese balneari dal codice dei contratti pubblici, in presenza di canoni di “locazione” della spiaggia predeterminati dallo Stato proprietario del demanio e di una regolazione della materia tutta fondata sul codice della navigazione.
- A differenza del Consiglio di Stato, la Cassazione con ordinanza di rinvio pregiudiziale del 13.1.2006 della causa C-174/06 aveva sostenuto per le concessioni balneari la natura esclusiva di concessioni di beni e tale nozione era stata recepita dalla Commissione Ue nelle osservazioni scritte al punto 81 e dalla Corte di giustizia nella sentenza CO.GE.P del 25 ottobre 2007 (EU:C:2007:634), che ha così concluso: «L’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, dev’essere interpretato nel senso che un rapporto giuridico quale quello in discussione nella causa principale, nell’ambito del quale ad un soggetto è concesso il diritto di occupare e di usare, in modo anche esclusivo, un bene pubblico, specificamente zone del demanio marittimo, per una durata limitata e dietro corrispettivo, rientra nella nozione di «locazione di beni immobili» ai sensi di detto articolo.».
- Infatti, le concessioni balneari come concessioni di beni sono fuori dalla disciplina del codice dei contratti pubblici, in quanto il d.lgs. 18 aprile 2016 n.50 ha recepito le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25 e, coerentemente, all’art.17 comma 1 lettera a) ha escluso l’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti pubblici «agli appalti e alle concessioni di servizi: a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni», ripetendo le analoghe previsioni dell’art. 19 del d.lgs. n.163/2006 e dell’art.5 comma 2 lettera a) del d.lgs. n.157/1995. L’art.56 comma 1 lettera e) del d.lgs. 31 marzo 2023 n.36 a decorrere dal 1° luglio 2023, con l’abrogazione del d.lgs. n.50/2016, ha sostituito con identica formulazione l’art.17 comma 1 lettera a) del codice dei contratti pubblici, elevando, sempre con decorrenza dal 1.7.2023, all’art.14 comma 1 lettera a) del nuovo decreto fino ad euro 5.382.000 la soglia di rilevanza europea degli appalti pubblici di lavori e per le concessioni.
- Inoltre, con l’art.1 comma 251 della citata legge finanziaria n.296/2006 è stato modificato l’art.03 comma 1 del d.l. n.400/1993, introducendo canoni demaniali variabili in ragione della categoria del bene assegnato e della tipologia di area coperta o scoperta.
L’ “affaire” ASPI e la libertà di concorrenza solo per le imprese balneari
- Viceversa, come anticipato, in settori in cui chiaramente già si applica(va) il diritto dell’Unione e la disciplina europea in materia di appalti pubblici di lavori o di servizi, come per le concessioni autostradali, il Governo Prodi con la legge finanziaria n.296/2006 ha operato contestualmente una restrizione della libertà di stabilimento e della libertà di concorrenza, con proroghe di lunga durata incoerenti con gli obblighi comunitari di indire gare pubbliche, come nel caso di Autostrade per l’Italia (ASPI).
- La concessione delle autostrade originariamente gestite da ASPI ha origine nell’aggiudicazione, nel 1968, alla società Autostrade-Concessioni e Costruzioni Autostrade SpA. Quest’ultima è stata privatizzata nel 1999 dal Governo D’Alema e nel 2003 con il Governo Berlusconi ha trasferito le sue attività di concessioni autostradali ad ASPI.
- Con l’art.12 del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262 il Governo Prodi ha previsto la rinegoziazione di tutti i contratti di concessione autostradale vigenti attraverso una convenzione unica, trasponendo il contenuto della norma in sede di conversione con la legge n.286/2006 nell’art.2 commi 82-86 del decreto legge.
- La Commissione ha attivato la procedura di infrazione C(2006) 2006/2419 con lettera di costituzione in mora, ritenendo che il nuovo sistema potesse limitare indebitamente la libera circolazione dei capitali e il diritto di stabilimento (artt.56 e 43 TCE) dei potenziali investitori UE
- Nonostante la procedura di infrazione in corso, il 12 ottobre 2007 tra ASPI e l’Anas veniva stipulata la Convenzione unica, in cui si rinnovava ad ASPI (Gruppo Atlantia, ora Mundys s.p.a.) la concessione di una pluralità di tratte autostradali italiane dell’estensione di oltre 2.800 chilometri fino al 31 dicembre 2038, cioè per la durata di oltre 31 anni, ratificando il legislatore questa operazione di affidamento a trattativa privata per un fatturato di miliardi di euro all’anno, totalmente contraria alla disciplina interna ed Ue in materia di appalti pubblici di beni e/o di servizi e/o di lavori e, in particolare, in violazione degli artt.2 e 58 della direttiva 2014/18/CE, stabilendo altresì condizioni contrattuali capestro e segrete per lo Stato concedente in caso di revoca della concessione per inadempimento anche grave del concessionario miliardario di favore in regime di quasi monopolio, dal momento che ASPI avrebbe beneficiato in ogni caso del pagamento dei profitti per tutta la durata del periodo residuo di concessione.
- La convenzione unica ASPI è stata addirittura resa irrevocabile (compresa la clausola di pagamento della reddività residua anche in caso di grave inadempimento da parte di ASPI), cioè non modificabile dallo Stato concedente, con l’art.8 duodecies del d.l. n.59/2008, inserito in sede di conversione con modificazioni dalla legge n.101/2008.
La cecità della Commissione Ue sull’“affaire” ASPI
- Incredibilmente, la procedura di infrazione C(2006)2006/2419 è stata archiviata dalla Commissione europea con decisione del 16 ottobre 2008, nonostante per la proroga della originaria convenzione ASPI di 31 anni al 31.12.2038 permanesse la palese violazione degli artt.2 e 58 della direttiva 2004/18/CE e quindi la violazione del codice dei contratti pubblici.
- Viceversa, la Commissione Ue, in seguito ad una denuncia presentata nel 2009, il 22 aprile 2014 ha inviato una lettera di diffida alla Repubblica italiana ai sensi dell’art. 258 TFUE, affinché tale Stato membro presentasse le proprie osservazioni in merito alla proroga, potenzialmente contrastante con gli artt.2 e 58 della direttiva 2004/18, della durata della concessione relativa all’autostrada A12 che collega Livorno a Civitavecchia, dal 31 ottobre 2028 al 31 dicembre 2046 di cui alla Convenzione unica dell’11 marzo 2019 tra la concedente ANAS e la concessionaria Società Autostrada Tirrenica SpA (SAT).
- Seguirà sulla proroga della Convenzione unica ANAS/SAT il parere motivato del 17 ottobre 2014 e, addirittura, il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art.258 TFUE, proposto il 4 settembre 2017 dalla Commissione europea, che sarà accolto dalla Corte di giustizia con la sentenza del 18 settembre 2019 in causa C-526/17 (v. infra).
- Come è noto, le modifiche alla Convenzione unica del 2007 dell’ASPI sono state determinate dal gravissimo disastro del 14 agosto 2018, quando, nei pressi di Genova, una sezione del viadotto Polcevera sull’autostrada A10 (il «ponte Morandi»), in concessione ad ASPI, è crollato, provocando la morte di 43 persone.
- Si leggono nella sentenza Adusbef (Pont Morand) della Corte di giustizia Ue del 7 novembre 2024 nella causa C-683/22 ai punti 12-16 le vicende del trasferimento perfezionatosi il 5 maggio 2022 della partecipazione societaria dei Benetton in Atlantia spa per 8,2 miliardi di euro a Cassa Depositi e Prestiti, la società finanziaria controllata per l’83% dal Ministero dell’Economia, evitando la revoca della ricchissima concessione autostradale per i gravissimi fatti del Ponte Morandi.
- Il 16 agosto 2018, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha avviato un procedimento nei confronti della ASPI per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale (sentenza Adusbef, punto 12).
- A partire dal 10 luglio 2019 hanno avuto luogo varie riunioni tra la ASPI, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, allo scopo di trovare una soluzione negoziale alle controversie pendenti relative al crollo del ponte Morandi (sentenza Adusbef, punto 13).
- Ad agosto 2019 cade il Governo Conte I per ragioni ancora inesplicabili, ma forse più comprensibili alla luce dei successivi accadimenti di seguito descritti.
- Dopo la sentenza Promoimpresa della Corte Ue, anche la Commissione europea si era convinta del fatto che la direttiva servizi non si applicava alle concessioni demaniali marittime, come si evince dal punto 39 della sentenza del 18 settembre 2019 della Corte di giustizia nella causa C-526/17 Commissione contro Repubblica italiana (EU:C:2019:756), in cui la Corte Ue ha registrato il seguente argomento della Commissione nel ricorso per inadempimento: «In quarto luogo, … la Commissione sostiene che la sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a. (C458/14 e C67/15, EU:C:2016:558), invocata dalla Repubblica italiana, non è pertinente nel caso di specie, dato che tale sentenza riguarda la possibilità di assoggettare ai principi derivanti dal Trattato FUE le concessioni che, fino all’entrata in vigore della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (GU 2014, L 94, pag. 1), non erano soggette alle disposizioni di alcuna direttiva».
- Con la citata sentenza del 18 settembre 2019 nella causa C-526/17 la Corte di giustizia Ue ha accolto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art.258 TFUE, proposto il 4 settembre 2017 dalla Commissione europea e ha così concluso: «La Repubblica italiana, avendo prorogato dal 31 ottobre 2028 al 31 dicembre 2046 la concessione della tratta LivornoCecina dell’autostrada A12 LivornoCivitavecchia (Italia) senza pubblicare alcun bando di gara, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 2 e 58 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (CE) n. 1422/2007 della Commissione, del 4 dicembre 2007.».
- In buona sostanza, con sentenza del 18 settembre 2019 nella causa C-526/17 la Corte di giustizia Ue ha accolto il ricorso per inadempimento per quanto riguarda la proroga della concessione autostradale SAT dal 31.10.2028 al 31.12.2046 disposta dalla convenzione unica del 2009 SAT senza pubblicare alcun bando di gara, in violazione degli artt.2 e 58 della direttiva 2004/18/CE.
- Era evidente, dunque, dopo la sentenza del 18.9.2019 della Corte di giustizia nella causa C-526/17 che anche la Convenzione unica del 2007 con la proroga al 31.12.2038 in favore di ASPI fosse illegittima e contraria al diritto dell’Unione per le stesse ragioni che avevano portato all’accoglimento del ricorso per inadempimento della Convenzione unica SAT del 2009, anche in considerazione del carattere quasi monopolistico della gestione della rete autostradale italiana affidata senza gara al Gruppo Benetton, e incomprensibile la archiviazione della procedura di infrazione C(2006) 2006/2419 della Commissione europea con la decisione del 16 ottobre 2008, soprattutto alla luce del disastro del Ponte Morandi e dell’originaria opzione del Governo Conte I di procedere alla revoca immediata e senza indennità di “buonuscita” per il gravissimo inadempimento già nei fatti palese da parte di ASPI alle regole della corretta manutenzione della struttura crollata.
Lo specchietto per le allodole della proroga illegittima per le imprese balneari
- A questo punto, ad oscurare la vicenda del Ponte Morandi e del subentro dello Stato nella gestione della rete autostradale principale è intervenuto lo specchietto per le allodole, sotto forma di presunto contrasto con il diritto dell’Unione della proroga al 31.12.2033 della durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, disposta dal Governo Conte I con l’art.1 commi 682-683 della legge finanziaria 145/2018, che invece appariva in linea proprio con la posizione della Commissione Ue espressa nelle osservazioni della causa C-526/17 conclusa con la citata sentenza del 18.9.2019 della Corte di giustizia.
- Sta di fatto che in una sconcertante intervista pubblicata il 12.10.2019, l’allora Sindaco del Comune di Rimini, dott. Andrea Gnassi (dal 2013 al 2021 Presidente della Commissione Permanente Turismo dell’ANCI e dal 2019 al 2021 Presidente ANCI Emilia Romagna), ha negato la competenza della Regione Emilia Romagna a comunicare ai concessionari marittimi la proroga dei titoli concessori ai 31.12.2033, ignorando la circolare regionale del 2.4.2019 e precisando: ««Finchè da Roma non ci dicono cosa dobbiamo fare, noi mettiamo nessun timbro.». Perchè «ci vuole molto poco, in questa vicenda così complicata e confusa, a passare dall’ufficio timbri all’ufficio…pacchi». «A oggi i Comuni che hanno rinnovato le concessioni ai bagnini per 15 anni sono pochi. Tanti altri, noi compresi, ancora non l’hanno fatto perché vogliono prima garanzie e percorsi amministrativi certi, che ancora non ci sono». Gnassi cita una relazione del ministero delle Finanze di settembre, che spiega come «non sia sufficiente mettere il timbro per garantire la proroga fino al 2033, Occorre un atto amministrativo, ma quale sia la procedura da seguire lo Stato non l’ha ancora chiarito». Insomma, «abbiamo da una parte la legge che dice sì alla proroga, dall’altra lo Stato stesso che scrive: non basta un timbro, serve una procedura più complessa ma senza indicare quale». Non aiutano poi «le varie sentenze della Corte Europea e dei tribunali italiani che mettono in forte dubbio la legittimità delle proroghe». Su Rimini (e altri comuni) pende come una spada di Damocle la diffida presentata da un gruppo di associazioni, che giudica illegittima la proroga. Ecco perché «abbiamo chiesto al governo di chiarire la procedura». Procedura che deve essere «prova di bomba, per gli operatori e per il Comune». Gnassi chiede aiuto anche alla Regione, per fare chiarezza. Fino a quando non ci sarà, Rimini «non metterà alcun timbro».
- In contestuale simbiosi con le tesi dell’ex Sindaco di Rimini Andrea Gnassi, l’ex Assessore all’Urbanistica e al Demanio del Comune di Rimini avv. Roberto Biagini costituisce e presiede il Coordinamento Nazionale Mare Libero APS (CoNaMaL) a Firenze il 20 ottobre 2019, associazione non riconosciuta che nascerebbe «dalla volontà di cittadini, associazioni e comitati già attivi da anni in molti territori italiani, dal litorale romano al Cilento, dalla Versilia alla Riviera romagnola, uniti dal comune intento di liberare il mare e le spiagge e restituirli alla collettività», dopo «diversi anni passati a contrastare i provvedimenti illegittimi delle amministrazioni comunali di tutto il Paese, quasi sempre più favorevoli agli interessi privati dei concessionari gestori degli stabilimenti che ai diritti dei cittadini, abbiamo deciso di unire le nostre forze e rivolgere le nostre (pacifiche) armi dove è più urgente intervenire: sulle istituzioni nazionali», in quanto «La storia della gestione del mare e delle spiagge, in Italia, è una storia che ha trasformato nel tempo le concessioni in proprietà private, conferendo ai titolari, sempre gli stessi, una fortuna economica altrimenti difficilmente raggiungibile, nonché un enorme potere contrattuale nei confronti della politica, a tutti i livelli. In questo modo, i concessionari hanno accumulato una serie infinita di privilegi iniqui, dalle proroghe perenni, ai canoni irrisori, fino alla consuetudine della tolleranza, in alcuni casi scaduta in compiacenza, nei confronti dei numerosi abusi sul demanio pubblico, dello sfruttamento dei lavoratori, alla preclusione al libero accesso dei cittadini alle spiagge e al mare.».
- In linea con le posizioni dell’ex Sindaco di Rimini Gnassi e dell’ex Assessore al Demanio del Comune di Rimini Biagini, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, con la nuova guida della piacentina Paola De Micheli del Governo Conte II, con circolare del 20 dicembre 2019 ha richiamato la sentenza n.7874/2019 del Consiglio di Stato stravolgendone il contenuto, dando indicazioni alle pubbliche amministrazioni concedenti sostanzialmente di disapplicare l’art.1 comma 682 della legge n.145/2018 e di bandire le gare per concessioni balneari in scadenza al 31.12.2020, dal momento che la direttiva Bolkestein andava applicata dal momento della sua “adozione” (28.12.2006) e non dalla scadenza del termine per il recepimento (28.12.2009).
- L’11 luglio 2020 la ASPI ha presentato una proposta di soluzione negoziale nella quale si impegnava, in primo luogo, a pagare la somma di 3.400 milioni di euro a titolo di interventi strutturali compensativi; in secondo luogo, a rafforzare gli standard di sicurezza della rete autostradale in sua concessione e, in terzo luogo, a cedere, insieme alla Mundys SpA, già Atlantia SpA, sua controllante, il controllo della ASPI alla Cassa Depositi e Prestiti SpA e ad investitori ritenuti accettabili da quest’ultima (sentenza Adusbef, punto 14).
- Con l’emergenza sanitaria per il covid, è stato introdotto dal Governo Conte II l’art.182 comma 2 del d.l. n.34/2020 (convertito con modificazioni dalla legge n.77/2020), una norma che, di fatto, andava ad aggiungersi per svuotarne l’efficacia alla proroga della durata delle concessioni di cui all’art.1 comma 682 della legge n.145/2018, ritenuta contraria al diritto dell’Unione dall’apodittica circolare del 20.12.2019 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
La copertura della Commissione Ue per favorire la vendita onerosa di ASPI
- Coerentemente con i comportamenti amministrativi del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di cui alla circolare del 20.12.2019, del Comune di Rimini e dell’AGCM, la Commissione europea ha inviato allo Stato italiano il 3 dicembre 2020, in piena emergenza covid, una lettera di messa in mora che avviava la nuova procedura di infrazione 2020/4118 C (2020) 7826 final.
- Paradossalmente, la lettera di messa in mora della seconda procedura di infrazione della Commissione Ue del 3 dicembre 2020 riguardava anche l’art. 182 comma 2 del d.l. n. 34/2020 (e sembrava muoversi proprio in conseguenza di questa disciplina emergenziale per il settore), andando a precisare che «la reiterata proroga della durata delle concessioni balneari prevista dalla legislazione italiana scoraggia […] gli investimenti in un settore chiave per l’economia italiana e che sta già risentendo in maniera acuta dell’impatto della pandemia da COVID-19. Scoraggiando gli investimenti nei servizi ricreativi e di turismo balneare, l’attuale legislazione italiana impedisce, piuttosto che incoraggiare, la modernizzazione di questa parte importante del settore turistico italiano. La modernizzazione è ulteriormente ostacolata dal fatto che la legislazione italiana rende di fatto impossibile l’ingresso sul mercato di nuovi ed innovatori fornitori di servizi.».
- Il modello di riferimento della Commissione europea è, appunto, quello del Comune di Rimini, in cui è l’Ente locale che con il Piano dell’Arenile scaduto il 27.1.2016 ha ingessato gli investimenti dei concessionari balneari che non si sono voluti aggregare per evitare possibili distorsioni nell’azione amministrativa pubblica e che sono stati obbligati ad effettuare soltanto lavori di ordinaria manutenzione delle strutture. Si tratta da parte della Commissione Ue di affermazioni ideologiche che immaginavano imprecisati innovatori fornitori di servizi, in grado di modernizzare, a differenza degli attuali titolari delle concessioni balneari, questa parte importante del turismo nazionale.
- Come era già successo con la procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea nel 2008 prima della scadenza del termine di recepimento della direttiva 2006/123/CE, l’AGCM, ignorando l’art.24 comma 3-septies d.l. 113/2016, ha impugnato per il tramite di avvocato del libero foro davanti al Tar Toscana con ricorso n.935/2020 R.G. ex art.21-bis legge n.287/1990 la Determina Dirigenziale n. 408 del 21 maggio 2020, con cui il Comune di Piombino aveva deliberato l’attivazione del procedimento per la formalizzazione della estensione della durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative sino al 31 dicembre 2033.
- Il Tar Toscana con sentenza dell’8 marzo 2021 n.363 ha accolto l’inammissibile ricorso dell’AGCM, rigettando l’eccezione di difetto di jus postulandi per l’assenza dell’esclusiva difesa erariale.
- Peraltro, in presenza di una procedura di infrazione già iniziata dalla Commissione Ue che avrebbe dovuto essere riservatissima con la lettera di messa in mora del 3.12.2020, è gravissimo che l’AGCM si sia ritagliato un ruolo di garante della libertà di concorrenza in favore di ignoti investitori per imporre alle amministrazioni comunali di effettuare gare pubbliche in un settore come quello delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del tutto estraneo al codice dei contratti pubblici e regolato dal solo codice della navigazione.
- Il comportamento eversivo dell’ordine costituzionale dell’AGCM in subiecta materia viaggia contestualmente con l’influenza nefasta sulla vicenda dei balneari italiani del disfacimento dei principi fondamentali dell’azione amministrativa della Commissione Ue come custode dei Trattati, che si è caratterizzata attraverso un’azione politica di tipo personale di funzionari europei addetti alle riservatissime procedure di infrazione, come si ricava plasticamente dalla lettera del Capo dell’unità E.2 – Applicazione norme della Direzione generale mercato interno, industria, imprenditoria e PMI della Commissione europea, sig. Salvatore D’Acunto, datata 7 aprile 2021 Ref.Ares(2021) 2389343.
- Con la lettera del 7 aprile 2021 il Sig D’Acunto ha risposto addirittura dopo cinque anni alla anonima e inesistente denuncia CHAP(2016)01498 del 28 aprile 2016, in cui sarebbe stato chiesto all’Istituzione comunitaria, prima della sentenza Promoimpresa della Corte di giustizia del 2016, di escludere le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, come concessioni di beni, dal campo di applicazione della direttiva Bolkestein, anche per rispettare il diritto di proprietà garantito dall’art.17 della Carta di Nizza, rappresentando falsamente che ad aprile 2016 lo Stato italiano avrebbe imposto l’applicazione diretta dell’art.12 della direttiva 2006/123/CE alle concessioni demaniali marittime, con l’indizione di gare e la cessazione immediata dell’attività aziendale senza indennizzo.
- L’insediamento del Governo Draghi a febbraio 2021 completerà l’operazione “balneari” con le note sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn.17 e 18 del 9 novembre 2021, contestualmente alla vendita transattiva dell’ASPI allo Stato senza revoca della concessione, senza procedura di infrazione della Commissione europea e con congruo corrispettivo per la vendita del pacchetto azionario.
- Infatti, il 14 ottobre 2021, sulla base della proposta di soluzione negoziale ASPI dell’11.7.2020, la ASPI e il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili hanno concluso un accordo transattivo. Conformemente alla procedura stabilita all’art.43 del d.l. n. 201/2021, tale accordo è stato approvato con delibera del CIPE del 22 dicembre 2021 n.75, nonché con decreto interministeriale del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze n. 37 del 22 febbraio 2022 (sentenza Adusbef, punto 15).
- L’accordo transattivo ha posto fine al procedimento avviato nei confronti della ASPI per inadempimento grave agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale, senza che sia stata formalmente constatata l’esistenza di un inadempimento in capo a quest’ultima (sentenza Adusbef, punto 16).
- Contestualmente al perfezionamento dell’accordo transattivo ASPI/Governo, il 15 febbraio 2022 il Consiglio dei Ministri ha approvato un emendamento al disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, che riguarda le modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime, con la rielaborazione degli artt.3 e 4 nel senso di stabilire il termine del 31 dicembre 2023 per la scadenza delle attuali concessioni, con l’introduzione di nuove regole per le procedure di gara che per le concessioni autostradali come quella del quasi-monopolista ASPI non sono mai state espletate, nonostante l’applicazione in quel settore del codice dei contratti pubblici.
- Il 5 maggio 2022 Atlantia spa, la holding infrastrutturale che fa capo alla famiglia Benetton, ha comunicato il perfezionamento del closing dell’operazione di cessione della partecipazione detenuta in Autostrade per l’Italia (pari all’88,06% del capitale e dei diritti di voto) a favore del Consorzio formato da Cdp Equity (51%), Blackstone Infrastructure Partners (24,5%) e Macquarie Asset Management (24,5%), per un controvalore di 8.200 milioni di euro.
- La Adusbef ha proposto un ricorso di annullamento contro gli atti governativi dell’accordo transattivo Benetton/Stato dinanzi al TAR Lazio, che ha proposto la pregiudiziale Ue alla Corte di giustizia, sottolineando che lo Stato come amministrazione aggiudicatrice non ha formalmente proceduto ad un esame della conformità, con le disposizioni della direttiva 2014/23, delle modifiche apportate dall’accordo transattivo alla concessione autostradale aggiudicata alla ASPI.
- La pregiudiziale del TAR Lazio è stata decisa con la sentenza Adusbef (Pont Morand) del 7 novembre 2024 nella causa C-683/22 la Corte di giustizia Ue ha concluso nel senso che, ai sensi dell’art.43 della direttiva 2014/23, un contratto di concessione può essere modificato senza indire una nuova procedura di evidenza pubblica, qualora le modifiche apportate alle sue clausole, senza alterare la natura generale della concessione, non siano sostanziali, come nel caso della vendita della partecipazione azionaria maggioritaria della società concessionaria e che spetta a ciascuno Stato membro determinare le norme che permettono all’amministrazione aggiudicatrice di reagire qualora il concessionario si sia reso o sia sospettato di essersi reso autore di un grave inadempimento contrattuale, che rende dubbia la sua affidabilità, durante l’esecuzione della concessione.
- Nella stessa causa C-683/22 Adusbef (Pont Morand) l’Avvocato generale Campos Sànchez-Bordona aveva ricordato ai punti 28-29 delle conclusioni del 30 aprile 2024 che, se è vero quanto affermato da Atlantia/Mundys e cioè che la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione non è rilevante ai fini della risoluzione della controversia, poiché, ai sensi del suo articolo 54, paragrafo 2, essa «non si applica all’aggiudicazione di concessioni per le quali è stata presentata un’offerta o che sono state aggiudicate prima del 17 aprile 2014», dal momento che la concessione controversa è stata assegnata senza gara il 12 ottobre 2007, è giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia Ue (per tutte, sentenza del 2 settembre 2021, Sisal e a. in cause riunite C721/19 e C722/19, EU:C:2021:672) che, anche se la concessione originaria è stata rilasciata prima dell’adozione della direttiva 2014/23, ciò che rileva per determinare la norma applicabile è la data delle modifiche la cui validità è contestata, che è successiva al 17 aprile 2014 (2021-2022), il che determina l’applicabilità della direttiva 2014/23.
Stesso cielo stesso mare: nessuna gara per concessioni autostradali e balneari
- Quindi, nessuna gara andava fatta per la modifica della Convenzione unica del 2007 per l’affidamento diretto ad ASPI, che già le gestiva dal 1999, di oltre 2.800 km di autostrade nazionali.
- Evidentemente per le concessioni balneari, che, come concessioni di beni, non entrano nel campo di applicazione né della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione né della direttiva servizi 2006/123/CE né nella disciplina interna del codice dei contratti pubblici, non si possono indire procedure di evidenza pubblica.
- Come si è rappresentato, la nuova disciplina sul termine di venti anni di durata massima delle concessioni balneari introdotta dalla finanziaria n.296/2006 per il 2007 si interseca la convenzione unica del 2007 per l’affidamento diretto ad ASPI della concessione autostradale quasi-monopolistica, e l’intreccio nasce nel contesto politico e culturale della gestione del demanio marittimo della Regione Emilia Romagna, in cui illustre accademica, la prof.ssa Lucia Serena Rossi, si farà subito promotrice della diretta applicazione sia dell’art.49 TFUE sia dell’art.12 paragrafo 1 della direttiva Bolkestein, nonostante chiaramente non vi fossero i presupposti temporali e giuridici per far rientrare le concessioni demaniali marittime nel campo di applicazione della norma primaria e della disposizione di diritto derivato che prevede procedure selettive, mentre analoga problematica di diretta e immediata applicazione della direttiva 2006/123/CE non viene sollevata in occasione dell’affare Benetton.
- Sintomatico è il giudizio etico dell’AGCM contro i concessionari balneari di lunga durata nella comunicazione del 20.10.2008: «Con riferimento, poi, all’art. 1, comma 2, del citato d.l. 400/1993, si evidenzia che la previsione del rinnovo automatico di una concessione demaniale sessennale non solo non stimola gli operatori economici a corrispondere un canone più alto all’amministrazione concedente e ad offrire migliori condizioni di servizio agli utenti, ma favorisce anche la costituzione o il mantenimento di comportamenti collusivi fra i soggetti titolari delle rispettive concessioni.».
- La malafede dell’AGCM nell’attribuire patenti negativi sul piano etico ai concessionari balneari di lunga durata emerge direttamente dall’art.72 comma 2 del d.l. 25.6.2008 n.112, la norma che consentì la stabilizzazione dei precari delle Autorità indipendenti come l’AGCM, assunti a tempo determinato senza concorso con stipendi molto più elevato degli impiegati di pari livello professionale delle altre amministrazioni pubbliche, con la rinuncia all’anzianità di servizio che avevano maturato durante il periodo di precariato raccomandato. La norma in questione, per una questione “etica”, non è stata convertita dal Parlamento con la legge n.133/2008, ma, come è prassi, furono mantenuti gli effetti degli atti compiuti nella vigenza della disposizione normativa d’urgenza fino al momento della mancata conversione, cioè furono immediatamente accolte le domande di stabilizzazione presentate.
- La vicenda degli ex precari dell’AGCM è raccontata nella sentenza Valenza della Corte di giustizia del 18 ottobre 2012 nelle cause riunite da C302/11 a C305/11, cui seguiranno due ordinanze “Bertazzi” della Corte Ue del 7.3.2013 in causa C-393/11 e del 4.9.2014 in causa C-152/14, in cui inizia il duello rusticano tra il Consiglio di Stato, che non voleva riconoscere agli ex precari delle Autorità indipendenti anche il diritto all’anzianità di servizio in base all’applicazione diretta del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comparabili enunciato dalla giurisprudenza comunitaria, e la Corte di Lussemburgo che ben tre volte ha insistito nel rispondere ai Giudici di Palazzo Spada che la stabilizzazione dei raccomandati ex precari dell’AGCM era una scelta del legislatore d’urgenza e quindi non poteva essere oggetto di sindacato comparativo con il riconoscimento della progressione economica maturata durante i periodi di precariato.
- Fatto sta che il non etico comportamento dell’AGCM contro i balneari italiani indurrà la Commissione Ue ad attivarsi con la lettera di messa in mora del 9 febbraio 2009 nella procedura di infrazione n. 2008/490, pur essendo l’Istituzione europea ben consapevole che la procedura di infrazione non avrebbe potuto trovare giustificazione nella direttiva Bolkestein, non essendo scaduto, quando la procedura di infrazione ha avuto inizio, il termine per il recepimento del 28.12.2009.
- Come si è anticipato, l’AGCM tornerà ad essere protagonista nel riuscito tentativo di smantellare, con la scusa della inesistente contrarietà al diritto dell’Unione sempre nella logica del disastro della programmazione della gestione del demanio marittimo sul litorale romagnolo con particolare riferimento al Comune di Rimini (già rappresentata in precedenti scritti), l’impianto normativo della proroga legislativa automatica al 31.12.2033 della durata delle concessioni balneari, introdotta dall’art.1 commi 682-683 della legge n.145/2018, in pieno covid e prima della caduta del Governo Conte II.
La pregiudiziale del GdP di Rimini sulla durata indeterminata delle imprese balneari
- Con ordinanza del 26 giugno 2024 nella causa iscritta a ruolo C-464/24 il Giudice di pace di Rimini ha sollevato alla Corte di giustizia Ue quattro quesiti pregiudiziali, nessuno dei quali esaminati specificamente nelle quattro pregiudiziali già sollevate dalla giustizia amministrativa (il TAR Lombardia per la causa C-458/14 Promoimpresa sulle concessioni lacuali del Lago di Garda; il TAR Sardegna per la causa C-67/15 Salis sulle concessioni balneari della Sardegna; il TAR Lecce per la causa C-348/22 AGCM sulle concessioni balneari del Comune di Lecce; il Consiglio di Stato per la causa C-548/22 SIIB per le concessioni balneari).
- Il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale ritiene che i principi enunciati dal Consiglio di Stato non abbiano valore giuridico né facciano nascere alcun obbligo di applicarli nella presente controversia o in altre dello stesso tipo né appartengono alla tradizione costituzionale della giurisprudenza amministrativa e di quella ordinaria, incline, come questo giudice, ad applicare le leggi dello Stato e, in caso di sospetto di illegittimità costituzionale o di contrarietà al diritto dell’Unione europea della norma statale da applicare, a sollevare questione di legittimità costituzionale o promuovere il dialogo con la Corte di giustizia Ue attraverso il rinvio pregiudiziale previsto dall’art.267 TFUE. Il GdP evidenzia che sulla fattispecie delle proroghe legislative delle concessioni balneari il Consiglio di Stato non ha mai sollevato le questioni pregiudiziali richieste al giudice di ultima istanza ai sensi dell’art.267 paragrafo 3 del TFUE, né ha mai sollevato questione di legittimità costituzionale.
- Peraltro, il Giudice di pace di Rimini precisa che la sentenza n.46/2022 della Corte costituzionale non ha condiviso il percorso interpretativo delle due sentenze dell’Adunanza plenaria del 2021 e ha ritenuto costituzionalmente legittima la proroga al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo e l’estensione della predetta proroga anche a quelle lacuali e fluviali.
- Il Giudice di pace del nuovo rinvio pregiudiziale ritiene di dover applicare alla fattispecie di causa la normativa statale attualmente vigente, che prevede la durata indeterminata delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo alla luce del combinato disposto dell’art.3 comma 1 e dell’art.4 comma 4-bis della legge n.118/2022 nonché dell’art.10 comma 4-bis del d.l. n.198/2022, con il divieto definitivo ai Comuni concedenti di effettuare gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni a nuovi titolari, in un settore in cui non opera il codice dei contratti pubblici.
- Inoltre, con la declaratoria di illegittima occupazione del suolo demaniale marittimo per uso turistico-ricreativo sancita con decorrenza dal 1° gennaio 2024 enunciata e “ordinata” dal Consiglio di Stato, i titolari di concessioni “scadute” il 31.12.2023 come la Società ricorrente nel giudizio davanti al GdP di Rimini andrebbero incontro alle seguenti conseguenze sul piano civile e penale: a) applicazione degli indennizzi di cui all’art. 8 del d.l. 400/1993 (convertito con modificazioni dalla legge n.494/1993) in misura pari ai canoni previsti dalla stessa normativa in caso di occupazione legittima con titolo concessorio valido, maggiorati del 200%; b) applicazione dell’art.54 cod. nav. con ingiunzione da parte degli Enti gestori agli ex concessionari illegittimamente occupanti il demanio marittimo di rimettere in pristino la situazione del suolo pubblico con la demolizione delle opere non amovibili e la rimozione di quelle amovibili, provvedendo l’Ente pubblico a spese dell’interessato in caso di mancata esecuzione dell’ordine; c) applicazione dell’art.1161 cod.nav., che prevede che chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a € 516, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato.
- Ne consegue, secondo il Giudice di pace del rinvio pregiudiziale, che le risposte della Corte di giustizia Ue ai quesiti proposti sono indispensabili per dissipare ogni dubbio sulla astratta fondatezza della domanda del concessionario di Rimini ricorrente e di contrasto con il diritto dell’Unione di diretta applicazione del diritto soggettivo della parte ricorrente alla legittima occupazione a tempo indeterminato del suolo demaniale marittimo per lo svolgimento dell’attività in concessione.
- Il GdP parte dal presupposto che, proprio dalle decisioni Promoimpresa e AGCM della Corte di giustizia, si possa ricavare la non applicazione della direttiva Bolkestein e del diritto primario Ue (in particolare, la non applicazione dell’art.49 TFUE) alle imprese balneari o, comunque, la non applicazione dell’art.12 della direttiva 2006/123/CE alle CDM iniziate prima del 28.12.2009, a prescindere da ogni verifica da parte dello Stato proprietario del demanio della scarsità o meno della risorsa naturale.
La risposta anticipata al GdP della Corte di giustizia nella sentenza SIIB
- In data 11 luglio 2024 è stata depositata la sentenza della Corte di giustizia nella causa S.I.I.B. C-598/22.
- La Corte di giustizia con la sentenza S.I.I.B., a parere di chi scrive, ha già risposto anticipatamente e positivamente a tutti e quattro i quesiti del Giudice di pace di Rimini.
- Con il primo quesito il Giudice di pace di Rimini ha chiesto alla Corte Ue «alla Corte se le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative come quella della società ricorrente – che non svolge una prestazione di servizi determinata dell’ente aggiudicatore, bensì esercita un’attività economica in un’area demaniale statale – rientra o non rientra nella categoria delle concessioni di servizi e, quindi, se entra o non entra nel campo di applicazione delle autorizzazioni di cui alla direttiva servizi 2006/123/CE e/o della direttiva 2014/23/UE, trattandosi di alcuni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione, alla luce di quanto precisato dalla Corte di giustizia dell’Unione ai punti 45-48 della precedente sentenza Promoimpresa S.r.l. e Melis del 14 luglio 2016 nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 (EU:C:2016:558).».
- Il Giudice del rinvio manifesta la sua opinione affermando che la Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa, avendo individuato quale normativa dell’Unione applicabile alla fattispecie delle concessioni demaniali marittime e lacuali per uso turistico-ricreativo, al punto 4 il considerando 57 della direttiva 2006/123/CE e al punto 7 il considerando 15 della direttiva 2014/23/UE, possa avere inteso escludere le predette concessioni, come concessioni di beni da parte dell’autorità pubblica, dal campo di applicazione sia della direttiva Bolkestein del 2006/123/CE sia della pertinente direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, trattandosi di alcuni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione (considerando 15 della direttiva 2014/23/CE).
- Del resto, secondo il GdP, nella sentenza Promoimpresa la Corte sembra affermare espressamente ai punti 44 – 48 che le concessioni demaniali, come concessioni di beni, non rientrano tra le concessioni di servizi e, quindi, non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE e neanche della specifica direttiva 2014/23/Ue. D’altra parte, al punto 39 della sentenza del 18 settembre 2019 della Corte nella causa C-526/17 Commissione contro Repubblica italiana (EU:C:2019:756), anche la Commissione Ue sembrerebbe consapevole della predetta posizione interpretativa della Corte Ue.
- La sentenza SIIB della Corte Ue risolve anticipatamente il primo quesito pregiudiziale del Giudice di pace di Rimini, confermando che la direttiva Bolkestein non è stata mai applicabile alle concessioni demaniali marittime essendo concessioni di beni (cfr. Consiglio di Stato, sentenze 9.4.2022 n.3240, 5.1.2024 n.204 e 16.1.2018 n.218.; Corte di giustizia, sentenza Promoimpresa, punti 47-48; Corte costituzionale, sentenza n.29/2017).
- Inoltre, l’incipit della motivazione della sentenza SIIB della Corte Ue ai punti 44-45, su sollecitazione della Commissione Ue nelle sue osservazioni scritte depositate il 2 febbraio 2023 nella causa C-598/22, pare smontare le conclusioni della sentenza Promoimpresa sull’applicazione diretta dell’art.49 TFUE ai fini della declaratoria di illegittimità con la normativa primaria Ue delle proroghe legislative delle concessioni balneari (all’epoca fino al 31.12.2020): «44 Nella misura in cui il giudice del rinvio fa riferimento, nella sua questione, agli articoli 49 e 56 TFUE, che sanciscono rispettivamente la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi, occorre precisare che l’attribuzione di una concessione di occupazione del demanio pubblico marittimo implica necessariamente l’accesso del concessionario al territorio dello Stato membro ospitante in vista di una partecipazione stabile e continua, per una durata relativamente lunga, alla vita economica di tale Stato. Ne consegue che l’assegnazione di una tale concessione rientra nel diritto di stabilimento previsto dall’articolo 49 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 30 novembre 1995, Gebhard, C55/94, EU:C:1995:411, punto 25; dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C384/08, EU:C:2010:133, punto 39, e del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis, C201/15, EU:C:2016:972, punto 50). 45 Inoltre, in virtù dell’articolo 57, primo comma, TFUE, le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi trovano applicazione soltanto se, segnatamente, non si applicano quelle relative al diritto di stabilimento. Occorre dunque escludere l’articolo 56 TFUE.».
- Pertanto, la Commissione Ue nelle osservazioni scritte e la Corte Ue nella sentenza SIIB escludono che si possa applicare alla fattispecie di causa l’art.56 TFUE sulla libera prestazione di servizi su cui, in combinato disposto con l’art.49 TFUE sulla libertà di stabilimento, il Consiglio di Stato ha fondato la pretesa di imporre le gare alla scadenza delle concessioni imposta inammissibilmente iussu iudicis.
- Si tratta, in buona sostanza, di una questione solo interna all’ordinamento nazionale, come la Corte Ue si affretta a precisare nella sentenza SIIB al punto 41, salvo darne una rilevanza potenzialmente transazionale in guisa tale da meritare una risposta del Collegio di Lussemburgo: «41 sebbene tale controversia presenti carattere puramente interno, è sufficiente rilevare, come ha fatto la Commissione europea, che il codice della navigazione si applica indistintamente agli operatori economici italiani e a quelli provenienti da altri Stati membri. Pertanto, non si può escludere, secondo il giudice del rinvio, che degli operatori stabiliti in altri Stati membri fossero o siano interessati ad avvalersi delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi al fine di esercitare delle attività sul territorio italiano e, dunque, che la normativa in questione sia suscettibile di produrre effetti che non sono limitati a tale territorio.».
- Con il secondo quesito pregiudiziale il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza del 26 giugno 2024 nella causa C-464/24 ha chiesto alla Corte Ue: «A prescindere dalla risposta della Corte al primo quesito, si chiede se le concessioni balneari come quella di cui è titolare la società ricorrente, iniziate prima del 28 dicembre 2009, sono comunque fuori dal campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE ai sensi dell’art.44 della stessa direttiva autorizzazioni, come sembrerebbe ricavarsi dal punto 73 della sentenza “Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Commune de Ginosa)” della Corte del 20 aprile 2023 in causa C-348/22 (EU:C:2023:301).».
- L’art.44 della direttiva 2006/123/CE prevede che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni della stessa direttiva entro il 28 dicembre 2009.
- Pertanto, secondo il Giudice di pace di Rimini, la direttiva Bolkestein non è stata mai applicabile alle concessioni demaniali marittime essendo concessioni di beni e non di servizi o di lavori e, comunque, la direttiva 2006/123/CE non poteva essere applicata alle CDM come quella della società ricorrente nel procedimento principale, iniziate prima del 28.12.2009.
- Secondo l’ordinanza di rinvio la sentenza AGCM del 20 aprile 2023 della Corte Ue al punto 73 parrebbe esplicitare l’esclusione delle concessioni demaniali marittime dal campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE quando iniziate prima del 28.12.2009.
- Lo stesso Consiglio di Stato con sentenza del 13 gennaio 2022 n.229/2022 al punto 6.7 ha precisato, richiamando la sentenza Togel della Corte di giustizia del 24.9.1998 in causa C-76/97 (EU:C:1998:161), che le concessioni balneari iniziate prima del 28.12.2009 non entrano nel campo di applicazione della Direttiva Bolkestein profilo non esaminato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze nn.17 e 18 del 2021.
- Come già evidenziato, il rapporto concessorio sottoposto all’attenzione della Corte Ue nella causa S.I.I.B. è iniziato in periodo antecedente al 28.12.2009 (dal 1928) e l’ultima (illegittima) devoluzione delle opere non amovibili al demanio marittimo è avvenuta nel 2008, e nella sentenza AGCM la Corte di giustizia al punto 73 aveva già chiarito il significato e la portata dell’art.12 paragrafi 1 e 2 della direttiva Bolkestein rispetto a CDM iniziate prima del 28 dicembre 2009 che, quindi, erano comunque al di fuori del campo di applicazione della direttiva servizi.
- La Commissione Ue nelle osservazioni scritte depositate il 2 febbraio 2022 nella causa C-598/22 al punto 22 ha precisato: «Siccome il trasferimento della proprietà in questione viene fatto risalire alla fine della concessione (il 31 dicembre 2002) e siccome tale trasferimento è stato accertato con decisione del Comune datata 20 novembre 2007, la direttiva Servizi non risulta applicabile ratione temporis perché la scadenza per la trasposizione di tale direttiva è fissata al 28 dicembre 2009 ai sensi del suo articolo 44, paragrafo 1.».
- Infatti, al punto 46 della sentenza SIIB puntualmente e seccamente la Corte Ue ha precisato: «Inoltre, poiché dall’articolo 44, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/123 discende che quest’ultima è inapplicabile ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale, la questione pregiudiziale deve essere esaminata soltanto alla luce dell’articolo 49 TFUE.».
- Pare evidente che la Corte Ue (e la Commissione Ue) abbia(no) anticipatamente confermato la fondatezza anche del secondo – dirimente – quesito pregiudiziale del Giudice di pace di Rimini, che smonta definitivamente l’impianto argomentativo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze nn.17 e 18 del 2021 e dell’AGCM, considerando che oltre il 90% delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo, come la società controinteressata DAMS snc e ora ricorrente nel giudizio di regolamento di giurisdizione, ha iniziato l’attività prima del 28.12.2009.
- Con il terzo quesito pregiudiziale il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza del 26.6.2024 nella causa C-464/24 ha chiesto alla Corte Ue: «A prescindere dalla risposta della Corte al primo e al secondo quesito, si chiede se l’art.195 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea, anche alla luce dell’art.345 dello stesso TFUE e dell’art.1 paragrafo 5 della direttiva 2006/123/CE, deve essere interpretato nel senso che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative come quella della società ricorrente, operanti nel settore del turismo, sono escluse dal campo di applicazione delle direttive di armonizzazione, come la direttiva 2006/123/CE.».
- Il GdP di Rimini ricorda che l’art.195 del TFUE con decorrenza dal 1.12.2009 (la norma non era presente nel TCE) esclude nel settore turismo che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possano introdurre, sul piano legislativo, misure specifiche di armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
- L’art.345 del TFUE stabilisce che i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri.
- Inoltre, l’art.01 comma 2 del d.l. n. 400 del 1993, nel testo modificato dall’art.10 comma 1 della legge n.88/2001 e in vigore dal 18 aprile 2001 fino al 16 gennaio 2012, aveva previsto il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in essere di sei anni in sei anni, salvo la revoca di cui all’art.42 cod.nav., e l’originario testo dell’art.37 comma 2 cod. nav. fino al 29.12.2009 prevedeva il c.d. di insistenza del precedente titolare del rapporto concessorio con il demanio marittimo. In buona sostanza, il combinato disposto delle predette norme, ora abrogate, prevedeva la durata indeterminata del rapporto concessorio demaniale marittimo di cui è titolare la Società concessionaria ricorrente nella causa C-464/24.
- Secondo il giudice del nuovo rinvio pregiudiziale, il legislatore nazionale ha riproposto la stessa situazione delle norme abrogate con il combinato disposto dell’art. 3 commi 1 e 3 e dell’art.4 comma 4-bis della legge n.118/2022, nonché con l’art.10-quater comma 3 del d.l. n.198/2022, normativa attualmente vigente, nella parte in cui la disciplina interna qualifica come legittima a tempo indeterminato l’occupazione del demanio marittimo assegnato secondo le regole del codice della navigazione fino alla revoca o alla decadenza del rapporto concessorio, impedendo che si realizzi la fattispecie di reato di cui all’art.1161 del codice della navigazione in caso di occupazione illegittima.
- L’attuale situazione normativa interna, del resto, è stata accertata dalla stessa Commissione Ue nel parere motivato del 16 novembre 2023, il cui contenuto è in radicale contrasto con quanto esplicitato dalla stessa Commissione europea nelle osservazioni scritte depositate il 2 febbraio 2023 nella causa C-598/22.
- Inoltre, era assolutamente corretta la posizione del Governo, censurata dalla Commissione europea nel parere motivato, che aveva concludeso il 5 ottobre 2023 i lavori del Tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art.10-quater commi 1 e 2, del d.l. n.198/2022, con il compito di definire i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, comunicando la Presidenza del Consiglio dei Ministri con la nota ufficiale del 6.10.2023 la insussistenza della scarsità della risorsa naturale costiera, tenendo conto del dato nazionale, secondo un approccio generale e astratto, proporzionato e non discriminatorio.
- In definitiva, secondo il Giudice di pace di Rimini in relazione al terzo quesito l’art.12 della direttiva 2006/123/CE non potrebbe comunque incidere sulla predetta normativa interna (che prevede la durata indeterminata delle concessioni) che ha effetti di qualificazione dell’occupazione del demanio pubblico marittimo anche in materia di diritto penale, come del resto previsto dall’art.1 paragrafo 5 della stessa Direttiva Bolkestein.
- D’altra parte, secondo il GdP, non spetta alla pubblica amministrazione o ai giudici ordinari o amministrativi, ma alla Corte Costituzionale la “disapplicazione” attraverso la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa vigente sulle concessioni demaniali marittime per presunto contrasto con direttive dell’Unione, perché dalla stessa potrebbero derivare conseguenze penali in capo ai concessionari ex art.1161 cod.nav., come ha chiarito la stessa Corte costituzionale con la sentenza n.28/2010, laddove ha stabilito espressamente che gli “effetti diretti devono invece ritenersi esclusi se dall’applicazione della direttiva deriva una responsabilità penale” (cfr. Corte di giustizia Ue, ordinanza 24 ottobre 2002 in causa C-233/01 RAS, EU:C:2001:261; Grande Sezione, sentenza 3 maggio 2005 in cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e altri, EU:C:2005:270).
- Inoltre, la Corte costituzionale ha ripetutamente chiarito (sentenze nn.46/2022, 222/2020, 40/2017, 213/2011, 233/2010 e 180/2010) che è di esclusiva dello Stato centrale, come proprietario del demanio, stabilire le modalità di rinnovo e/o riassegnazione delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
- In conclusione, secondo il giudice di pace di Rimini, le direttive di armonizzazione come la direttiva 2006/123/CE non dovrebbero applicarsi alle concessioni demaniali marittime, anche perché diversamente andrebbero ad incidere sulla normativa in materia di proprietà e/o possesso dei beni immobili e sulla qualificazione legittima o illegittima ai fini penali della loro occupazione.
- Anche in questo caso la sentenza S.I.I.B. della Corte di giustizia può essere considerata una risposta positiva anticipata al terzo quesito pregiudiziale, nella parte in cui è fortemente valorizzata dalla Corte Ue la natura demaniale statale del suolo e del demanio dato in concessione e vi è una radicale svalutazione dell’art.56 TFUE, inapplicabile alla fattispecie di concessioni di beni e non di servizi.
- Con il quarto e ultimo quesito il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza del 26.6.2024 nella causa C-464/24 ha chiesto alla Corte Ue: «A prescindere dalla risposta della Corte al primo, al secondo quesito e al terzo quesito, si chiede se l’art.51 (ex art.45 TCE) del Trattato di funzionamento dell’Unione europea e l’art.2 paragrafo 2 lettera i) della direttiva 2006/123/CE devono essere interpretati nel senso che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative come quelle della società ricorrente, che svolgono in maniera costante e non occasionale attività di interesse pubblico sul territorio del demanio statale, quali la salvaguardia della proprietà pubblica, la tutela della salute e dell’igiene pubblica, la tutela del diritto delle persone con disabilità all’accesso alle attività di elioterapia e di balneazione, nonché attività turistiche, culturali e ambientali, sono escluse dal campo di applicazione sia dell’art.49 del T.F.U.E. che della direttiva servizi».
- Ritiene il Giudice del rinvio che l’art.51 (ex art.46 TCE) al Titolo IV Capo 2 del TFUE prevede che sono escluse dall’applicazione delle disposizioni dello stesso Capo 2 (artt.49 – 55 TFUE), per quanto riguarda lo Stato membro interessato, le attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.
- Pertanto, secondo il GdP di Rimini, le concessioni demaniali marittime sarebbero escluse dal campo di applicazione dell’art.49 del TFUE, partecipando non occasionalmente ma direttamente all’esercizio dei pubblici poteri di tutela del patrimonio costiero, di tutela della salute e dell’igiene pubblica, di garanzia del libero e sicuro accesso alla balneazione di persone disabili, ecc.
- Anche sul quarto quesito la Corte di giustizia con la sentenza S.I.I.B. pare aver dato anticipatamente risposta positiva, seppure indirettamente, valorizzando l’art.49 TFUE soltanto sotto il profilo della libertà di stabilimento senza che esso possa incidere, al di fuori delle direttive di armonizzazione non applicabili alla fattispecie delle concessioni di beni demaniali come quelle marittime, sulla definizione delle condizioni di durata delle CDM.
La nuova disciplina “provvisoria” introdotta dall’art.1 del d.l. n.131/2024
- Infine, la disciplina è stata recentemente modificata dall’art.1 del d.l. 16 settembre 2024 n.131, convertito con la legge 14.11.2024 n.166, con la modifica dell’art.3 commi 1 e 2 della legge n.118/2022, la riscrittura dell’art.4 della legge n.118/2022 e l’abrogazione dell’art.10-quater del d.l. n.198/2022, prevedendo la proroga delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo e sportivo al 30 settembre 2027 e il termine al 30 giugno 2027 per l’indizione delle gare per nuove assegnazioni delle concessioni.
- Il testo dell’attuale disciplina degli artt.3 e 4 della legge n.118/2022 risente molto della pendenza della causa pregiudiziale C-464/24 davanti alla Corte di giustizia e dei quesiti ivi sollevati dal Giudice di pace di Rimini, perché da un lato il novello legislatore d’urgenza ha tolto ogni riferimento nel nuovo testo dell’art.4 della legge n.118/2022 ad una disciplina di riordino o revisione della materia, dall’altro non ha abrogato l’art.24 comma 3-septies d.l. n.113/2016, a confermare la durata indeterminata o, se si preferisce, indefinita delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative iniziate prima del 28.12.2009 fino ad una legge di riordino della materia, che per il momento il Parlamento nazionale esclude possa essere all’orizzonte.
- La Corte costituzionale con l’ordinanza del 7 ottobre 2024 n.161/2024 nella causa C-653/24 Regione Emilia-Romagna ha posto alla Corte Ue la problematica dell’applicabilità al regime di proroga disposta con legge regionale delle concessioni demaniali di imprese idroelettriche di piccole dimensioni della direttiva Bolkestein in termini in parte coincidenti con i quesiti pregiudiziali sollevati dal Giudice di pace di Rimini con l’ordinanza del 26 giugno 2024 in causa C-464/24 Balneari Rimini, da un lato sottolineando che «occorre altresì evidenziare che la mera cessione di beni o il prelievo di beni destinati all’uso proprio non sembrano rientrare fra le ‘‘prestazioni di servizi” (artt. 14 e 24 della direttiva 2006/112/CE)», dall’altro richiamando i principi enunciati dalla sentenza AGCM della Corte di giustizia sulle proroghe automatiche legislative delle concessioni demaniali marittime per quanto il profilo della (non) scarsità della risorsa naturale ed evidenziando al punto 8.1. della motivazione che «nella medesima sentenza la Corte di giustizia non ha escluso che sussista per gli Stati membri «un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. Tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso» (punto 46)».
La sentenza n.4014/2025 del Consiglio di Stato e la competenza del Giudice ordinario
- Come anticipato, il Consiglio di Stato – VII Sezione con la sentenza del 9 maggio 2025 n.4014 ha per la prima volta preso in considerazione la pendenza della domanda pregiudiziale proposta dal Giudice di pace di Rimini con l’ordinanza del 26 giugno 2024 in causa C-464/24 Balneari Rimini, respingendo l’istanza di sospensione impropria proposta dalla difesa del concessionario balneare ivi appellante, in un fattispecie in cui l’appellante sosteneva l’applicabilità della disciplina di durata indeterminata delle concessioni balneari nel combinato disposto delle disposizioni poi abrogate sulla rinnovo automatico di sei anni in sei anni e del diritto di insistenza in favore del concessionario “uscente”.
- Secondo il Consiglio di Stato nella sentenza n.4015/2025, «il Giudice di Pace di Rimini ha effettuato il rinvio pregiudiziale muovendo da un presupposto – quello dell’attinenza della disciplina delle proroghe legislative delle concessioni demaniali marittime al sinallagma funzionale, e non al sinallagma genetico, del rapporto concessorio di beni pubblici – diverso e anzi opposto a quello della presente causa. In questa, infatti, si controverte della pretesa della La Brezza S.a.s. a poter mantenere sine die il godimento del bene demaniale sulla base del c.d. diritto di insistenza ex art. 37 cod. nav. e dunque alla conservazione senza limiti temporali della titolarità del rapporto concessorio: ma tale pretesa attiene al sinallagma genetico, e non a quello funzionale, perché muove dal presupposto della configurazione ab origine del rapporto stesso come a tempo indeterminato, siccome avente a oggetto – nella prospettazione dell’appellante – un diritto di sfruttamento del bene demaniale con una durata indefinita, garantita proprio dal diritto di insistenza (v. pagg. 19 e segg. dell’appello).».
- Con motivazione carica di contenuti altrettanto “originali” oltre che in palese contraddizione con la posizione assunta dal Consiglio di Stato nella sentenza n.229/2022 e con l’interpretazione della Corte di giustizia nelle sentenze AGCM (punto 73) e S.I.I.B. (punto 46), il Consiglio di Stato con la sentenza n.4014/2025 va apoditticamente a confermare il precedente orientamento di disapplicazione/annullamento iussu iudicis di tutte le normative di proroga delle concessioni balneari, compresa quella dell’art.1 del d.l. n.131/2024, stravolgendo i principi enunciati dalla sentenza Togel della Corte Ue e l’esclusione dei titoli concessori iniziati prima del 28.12.2009 dal campo di applicazione della direttiva Bolkestein.
- Le fantasiose argomentazioni della VII Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n.4014/2025 in commento in impossibile difesa dell’Adunanza plenaria del 2021 contrastano in modo stridente proprio con la causa pregiudiziale C-598/22 definita dalla sentenza S.I.I.B. della Corte di giustizia invocata a sproposito per rigettare l’istanza di sospensione impropria o di rinvio pregiudiziale alla Corte Ue, per tre ordini di ragioni.
- In primo luogo, la Commissione Ue nelle osservazioni scritte depositate il 2 febbraio 2022 nella causa C-598/22 al punto 22 ha precisato: «Siccome il trasferimento della proprietà in questione viene fatto risalire alla fine della concessione (il 31 dicembre 2002) e siccome tale trasferimento è stato accertato con decisione del Comune datata 20 novembre 2007, la direttiva Servizi non risulta applicabile ratione temporis perché la scadenza per la trasposizione di tale direttiva è fissata al 28 dicembre 2009 ai sensi del suo articolo 44, paragrafo 1».
- In secondo luogo, al punto 46 della sentenza SIIB puntualmente e seccamente la Corte Ue ha precisato: «Inoltre, poiché dall’articolo 44, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/123 discende che quest’ultima è inapplicabile ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale, la questione pregiudiziale deve essere esaminata soltanto alla luce dell’articolo 49 TFUE».
- Ne consegue, proprio alla luce della recentissima decisione n.4014/2025 del Consiglio di Stato e delle considerazioni ivi fatte dal Supremo Organo di giustizia amministrativa che si è rifiutato di rispettare l’obbligo di rinvio pregiudiziale del Giudice di ultima istanza ai sensi dell’art.267 paragrafo 3 TFUE e comunque di sospendere il giudizio in attesa della definizione della causa pregiudiziale C-494/24 di cui all’ordinanza del 26 giugno 2024 del Giudice di pace di Rimini, trattandosi di questione inerente il sinallagma funzionale in quanto la proroga legislativa al 31 dicembre 2033 di cui all’art.1 comma 682 legge n.145/2018 è intervenuta nel corso del rapporto concessorio di tutti i concessionari balneari italiani, SUSSISTE LA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO.
- Per confortare la tesi della giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice amministrativo, vanno riproposte le stesse considerazioni del Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale della causa C-494/24 ai punti 36-38 per affermare la propria competenza.
- Innanzitutto, la materia degli indennizzi e dei canoni legati all’uso di demanio pubblico in concessione è sottratta alla G.A., ai sensi dell’art.133 comma 1 lettera b) del codice del processo amministrativo, che affida alla giurisdizione esclusiva amministrativa soltanto «le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche».
- Nella ordinanza interlocutoria della Suprema Corte di Cassazione n. 28566/2023, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale decisa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/2024, sono analiticamente affrontate le problematiche sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario in subiecta materia.
- Secondo la Cassazione l’indennizzo di cui all’art.1 comma 257 della legge n. 296/2006 o quello di cui all’art.8 del d.l. n.400/1993, in quanto attribuzione patrimoniale comunque sottratta al potere di intervento discrezionale dell’Amministrazione, non ha neanche natura di sanzione amministrativa, sulla scorta di una giurisprudenza consolidata in tema di pagamento del canone derivante da rapporto concessorio, secondo cui «l’occupazione generica di suolo pubblico rientra pienamente nella tipologia di prestazione per la quale l’utilizzatore è tenuto al pagamento di una prestazione pecuniaria legata ad un rapporto che esplica effetti di natura privatistica, posto che la natura pubblica del suolo occupato non incide sulla qualificazione del rapporto instaurato.». In definitiva, secondo la Suprema Corte, «si tratta pur sempre di controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, successiva all’aggiudicazione della concessione di bene (come di servizio) pubblico.».
- Quindi, a rigore, anche la disciplina delle proroghe legislative delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, che riguarda il sinallagma funzionale e non quello genetico del rapporto concessorio di beni pubblici, è sottratta alla competenza del giudice amministrativo.
Conclusioni: la tutela delle imprese balneari all’attenzione delle Corti superiori
- La Corte costituzionale si è riservata all’udienza pubblica del 9 aprile 2025 per la decisione del ricorso n. 37/2024 di legittimità costituzionale in via principale promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri rispetto agli artt. 1, 2, commi terzo e quarto, e 3 della legge regionale della Toscana n. 30/2024, in cui la principale disposizione legislativa regionale impugnata riguarda la determinazione dell’indennizzo secondo il valore aziendale, che potrebbe non (più) rientrare nella competenza esclusiva del legislatore statale ove la Corte di giustizia nelle emanande decisioni sulle pregiudiziali della Corte costituzionale e del Giudice di pace di Rimini dovesse determinarsi nel senso di escludere (in tutto o in parte) la disciplina della durata delle concessioni demaniali marittime e/o delle piccole imprese idroelettriche dal campo di applicazione della direttiva Bolkestein.
- Quindi, dopo la legittima scelta del Governo di non pubblicare entro il 31 marzo 2025 il decreto interministeriale per la determinazione dell’indennizzo spettante ai concessionari uscenti in caso di gare pubbliche per nuove assegnazioni – che in ogni caso potrà interessare soltanto i concessionari balneari che hanno iniziato l’attività dal 1° gennaio 2010, astrattamente gli unici rientranti nel campo di applicazione della Bolkestein – occorrerà attendere la pronunzia della Corte costituzionale all’esito dell’udienza del 9 aprile 2025 che, peraltro, potrebbe sollevare anche per le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative questioni pregiudiziali inerenti l’applicabilità della direttiva 2006/123/CE, come quella attualmente pendente davanti alla Corte di giustizia Ue per le piccole imprese concessionarie idroelettriche.
- Del resto la Corte costituzionale spagnola con la decisione n. 213/2015 ha escluso i balneari iberici dal campo di applicazione del diritto Ue per quanto riguarda la proroga fino a 75 anni della durata, valorizzando il settore balneare nazionale.
- La nostra Corte costituzionale potrebbe fare lo stesso per le imprese balneari italiane, che non meritano un trattamento deteriore rispetto a quello riservato, violando le leggi dello Stato, la Costituzione e il diritto dell’Unione, al concessionario privilegiato ASPI, la cui impunità e immunità dalle conseguenze del crollo del Ponte Morandi è stata garantita anche dall’AGCM e dalla Commissione europea per giustificare l’assegnazione diretta e senza gare della gran parte delle concessioni autostradali e una buonuscita che appare una scandalosa offesa ai principi fondamentali costituzionali italiani ed europei, come dimostra il recente accesso della Guardia di Finanza presso il Ministero dell’Economia per verificare la documentazione inerente la congruità del prezzo di vendita della partecipazione azionaria in Atlantia s.p.a. ora Mundys spa – € 8.200 milioni di euro – dal privato privilegiato contra legem allo Stato.